I gringos sono tornati

Obama all’Avana

Chi è cresciuto negli anni della guerra fredda, e magari ancora ricorda con apprensione l’invasione della Baia dei Porci, o con nostalgia il team permanente allestito da Robert Kennedy alla Casa Bianca per sbarazzarsi di Fidel, avrebbe preferito un epilogo diverso da quello consumato in queste ore all’Avana. Rassegniamoci. Un presidente statunitense ed un Castro trattano da pari a pari, come se una sfida iniziata nella metà del secolo scorso si fosse conclusa in equilibrio. Chiunque fosse schierato da una parte o dall’altra, avrà avuto l’amaro in bocca. Ma come: e l’imperialismo yankee? Oppure: perché tante cerimonie con i comunisti? Quale giudizio vogliamo dare sulla storia delle relazioni fra Cuba e Stati Uniti, mettiamoci l’animo in pace, giusto o sbagliato, il passato è perso per sempre. Si investe solo più sul futuro, contando sia migliore. Oramai Obama lo conosciamo, non è tipo che si ostina a restare sulla riva del fiume in attesa del cadavere del suo nemico. C’è già stata un’ America convinta di poter infliggere un colpo decisivo al regime cubano con la cattura e la morte del Che e pure non successe niente. Il regime andò avanti lo stesso, persino liberato dalla scomoda ipoteca di un personaggio ingombrante come il “Comandante”. A questo punto, quando i Castro passeranno, che senso avrà tenere in piedi una dittatura tanto miserabile? Iniziamo a riattivare le relazioni diplomatiche, quelle commerciali, gli scambi culturali, pazienza per i diversi modelli politici. Il cambiamento interessa inevitabilmente l’intera America latina e Cuba, come i guerriglieri della Farc in Colombia, non hanno più una sola ragione per opporvisi. I loro giovani vogliono navigare su internet, non impugnare il mitra. Ci perdono sicuro? Fatevene una ragione. Questa è la forza di Obama mentre i Castro potranno almeno vivere senza particolare traumi i loro ultimi anni. Si avvia così la conclusione di un’epoca molto lontana, quella del mito rivoluzionario. Non che ci sia vera gloria nello stringere la mano a Raul Castro e andare a guardarci il baseball allo stadio, ma anche coloro che oggi protestano dai ranghi dell’opposizione, intravedono finalmente la possibilità di un avvenire diverso, almeno per i propri figli. Per questo crediamo che Obama abbia fatto la cosa migliore, anche se la nostra coscienza novecentesca si è sentita spinta sullo strapiombo. La Cuba comunista e Fidel meritavano uno shock doloroso, ma la democrazia si accontenti della fine della loro esperienza. Raul rasato di fresco, incravattato in una giacca troppo larga per la sua taglia, lo sa bene che i maledetti gringos sono tornati.

Roma, 22 marzo 2016